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il disturbo borderline di personalità

Il disturbo borderline di personalità (APA, 1994) è una delle più complesse e controverse entità diagnostiche.

Con l’indicazione di disturbo borderline si raccolgono un ampio spettro di problematiche, piuttosto che un quadro nosografico definito. Non esiste infatti un unico paziente borderline che risponde a specifici e standardizzati criteri diagnostici. Lo psicoanalista Otto Kernberg ritiene che il termine “disturbo” sia limitante e preferisce riferirsi alla condizione borderline come ad un’organizzazione di personalità.

Per comprendere quando difficile da demarcare e forse ampiamente diffuso sia questo disturbo, vorrei dare il dato di incidenza sull’intera popolazione, stimato tra il 2% e il 5%.

Anche se spesso si è inteso il termine borderline per descrivere una situazione che è al limite tra le problematiche di natura nevrotica e quelle più francamente psicotiche, i soggetti affetti dal disturbo difficilmente sviluppano una condizione psicotica, piuttosto tendono ad attenuare i sintomi maggiormente problematici nel corso degli anni, mostrando una curva che tocca l’apice nella prima età adulta e decresce dopo i trenta-quarant’anni.

La diagnosi secondo il DSM-IV

Il Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali, quarta edizione (APA, 1994) colloca il disturbo borderline, sull’asse II, all’interno dei disturbi di personalità del cluster B, gruppo noto come “drammatico-imprevedibile” e lo definisce nel modo seguente: Una modalità pervasiva di instabilità delle relazioni interpersonali, dell’immagine di sé e dell’umore ed una marcata impulsività, comparse nella prima età adulta e presenti in vari contesti, come indicato da cinque (o più) dei seguenti elementi:

  1. Sforzi disperati di evitare un reale o immaginario abbandono.
  2. Un quadro di relazioni interpersonali instabili e intense, caratterizzate dall’alternanza tra gli estremi di iper-idealizzazione e svalutazione.
  3. Alterazione dell’identità: immagine di sè e percezione di sè marcatamente e persistentemente instabili.
  4. Impulsività in almeno due aree che sono potenzialmente dannose per il soggetto come ad esempio spendere eccessivamente, promiscuità sessuale, guida spericolata, abuso di sostanze, abbuffate, etc.
  5. Ricorrenti minacce, gesti, comportamenti suicidari, o comportamento automutilante.
  6. Instabilità affettiva dovuta a una marcata reattività dell’umore (per es., episodica intensa disforia, irritabilità o ansia, che di solito durano poche ore, e soltanto raramente più di pochi giorni.
  7. Sentimenti cronici di vuoto.
  8. Rabbia immotivata e intensa o difficoltà a controllare la rabbia (per es., frequenti accessi di ira o rabbia costante, ricorrenti scontri fisici).
  9. Ideazione paranoide, o gravi sintomi dissociativi transitori, legati allo stress.

Come si può osservare i criteri che soddisfano la diagnosi di disturbo borderline sono molteplici, ed è sufficiente che cinque tra questi siano presenti; ne deriva che le tipologie dei soggetti borderline possono essere molto varie e differenti tra loro. Questa dimensione descrittiva è stata adottata per finalità diagnostiche dall’American Psychiatric Association (APA), ed evidenzia prioritariamente l’aspetto di instabilità e di impulsività, che sono criteri più immediatamente osservabili. Tra i clinici che si sono maggiormente interessati del problema M. Linehan mette in evidenza un aspetto di vulnerabilità emotiva, quale condizione di partenza, da cui deriverebbero molte delle reazioni descritte.

Il trattamento del disturbo borderline di personalità

La ricerca di programmi terapeutici in grado di rispondere efficacemente alla problematica del disturbo è ad oggi ricca di protocolli di intervento verificati nella loro efficacia. La terapia cognitivo-comportamentale ha contribuito ad elaborare dei manuali di trattamento particolareggiati, che si rivelano molto utili nel guidare l’intervento.

Il trattamento messo a punto da Marsha Linehan, elaborato in anni di ricerca sull’efficacia clinica, è sicuramente un punto di riferimento per tutti i clinici che si occupano del problema. La terapia Dialettico Comportamentale di Linehan parte dall’assunto che il soggetto ha un problema di vulnerabilità emotiva, che non gli consente di modulare efficacemente le sue reazioni agli stimoli ambientali (ad esempio le richieste di un familiare o un conflitto con un collega). Questa compromissione nel sistema di regolazione delle risposte emozionali fa si che la persona non sappia gestire efficacemente le situazioni stressanti e abbia anche una difficoltà a riconoscere adeguatamente le sue reazioni emotive. Un’emotività espressa spesso in forma di depressione, che tende facilmente a tramutarsi in rabbia, o anche, in situazioni di confronto sociale, assumere una intensa sensazione di vergogna.

La terapia Dialettico Comportamentale della Linehan si sviluppa su due piani, la psicoterapia individuale è integrata da una terapia di gruppo di carattere psicoeducazionale.

Il programma di trattamento è molto ben strutturato, con il lavoro in gruppo che prevede lo svolgimento di tre moduli, a migliorare altrettanti aspetti nei quali il soggetto è carente: efficacia interpersonale, regolazione delle emozioni, tolleranza della sofferenza mentale e dell’angoscia. Anche la psicoterapia individuale si dipana in un percorso che prevede la definizione di obiettivi definiti congiuntamente.

La Psicoterapia basata sulla Mentalizzazione, ad orientamento psicoanalitico di Bateman e Fonagy (Mentalization-Based Psycotherapy, MBP), è stata ugualmente verificata con prove di efficacia. I presupposti sui quali si fonda, ormai ampiamente condivisi con i clinici cognitivisti, sono quelli della teoria dell’attaccamento di Bowlby. Questo modello teorico ha ispirato le ricerche volte a verificare la relazione tra la qualità delle cure parentali in tenera età e lo stile nelle relazioni interpersonali successive.

Fonagy e coll. hanno portato avanti degli studi che dimostrerebbero la relazione esistente tra la capacità di regolare efficacemente l’emotività, lo sviluppo dell’identità personale e la comprensione degli stati mentali negli altri e in se stessi. La psicoterapia per il trattamento del disturbo borderline che viene di conseguenza elaborata ha come elemento centrale del trattamento il recupero di una funzione di mentalizzazione, intesa come capacità di interpretare le proprie ed altrui azioni come derivanti da definiti stati mentali quali desideri, bisogni, sentimenti, motivazioni personali.

Un trattamento che attribuisce importanza alla capacità di elaborare una teoria della mente, cioè alla capacità di attribuire efficacemente intenzioni e stati emotivi alle persone con cui si entra in relazione, è comune anche agli altri approcci terapeutici. L’importanza dell’approccio di Bateman e Fonagy sta nell’aver evidenziato come il senso di identità sia nei soggetti border deficitario, proprio per la difficoltà di riconoscimento e di regolazione affettiva.

Lo psicoanalista Otto Kernberg, tra i primi a descrivere e codificare in maniera completa il disturbo, differenziandolo da altri quadri patologici, preferisce occuparsi estensivamente di una organizzazione borderline di personalità, definita non solo dagli aspetti sintomatologici, ma anche dal vissuto psicologico e dalle relazioni oggettuali. La psicoterapia adottata, di derivazione psicoanalitica, ma fondata su dati di ricerca, è definita Terapia fondata sul Transfert. I presupposti sui quali si fonda derivano da una descrizione del problema che evidenzia alcune aree patologiche, in quelle che vengono definite unità cognitive affettive. Provando a descrivere quali di queste unità non sono adeguatamente efficaci troviamo:

  1. comportamenti caratterizzati da impulsività e distruttività,
  2. percezioni di sè discontinue nel tempo e non organizzate,
  3. rappresentazioni di sè e degli altri non integrate,
  4. ricerca di ambienti distruttivi.

La psicoterapia elaborata da Kernberg si sviluppa intorno ad uno schema che utilizza il riconoscimento dell’affettività intensa che si sviluppa in alcune relazioni interpersonali, un’affettività generata dalla particolare rappresentazione di sè e dell’altro in quella particolare circostanza. Attraverso il riconoscimento e la mentalizzazione di questa affettività, con un sapiente uso dell’interpretazione, si dipana la psicoterapia, con la finalità di consentire al soggetto di accettare ed integrare le relazioni oggettuali discordanti.