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L’ANSIA E IL PANICO

La libertà imprigionata. L’ansia e il panico, come comprenderli e affrontarli

Autori del seguente testo sono il Dr. Ferdinando Galassi, il Dr. Carmelo La Mela ed il Dr. Stefano Lucarelli del Centro di Terapia Cognitivo Comportamentale, Unità Operativa di Psichiatria (direttore: Prof. Pierluigi Cabras), Dipartimento di Scienze Neurologiche e Psichiatriche Università di Firenze.

Ringraziamo il Prof. Ferdinando Galassi per aver concesso la pubblicazione su questo sito, per ulteriori approfondimenti vi consigliamo di visitare il sito del Centro di Terapia Cognitivo-Comportamentale dell’Università di Firenze.

In Giappone la ricerca dell’equilibrio interiore passa anche dal contatto con la spiritualità degli elementi naturali

Vivere, essere umani, significa avere problemi.

Avere problemi da risolvere porta ad una condizione di sofferenza emotiva. Alcune volte si possono fronteggiare questi problemi da soli o con l’aiuto della famiglia e degli amici.

Ma proprio come non ci si aspetterebbe di arrivare alla fase più critica di una malattia prima di consultare un medico, a volte si può trarre beneficio da un aiuto professionale nel superare i problemi emotivi prima che divengono tanto gravi da essere inabilitanti.

La decisione di cercare aiuto è segno di saggezza, buon senso e fiducia nel proprio potenziale.

In queste pagine potreste trovare risposte ad alcune delle domande che vi ponete e consigli che potrebbero esservi utili.

Affrontare l’ansia

L’ansia è un fenomeno normale di cui tutti facciamo esperienza in continuazione seppure in misura e con frequenza molto variabile. L’ansia è una dimensione inevitabile del vivere umano con cui è necessario confrontarsi quotidianamente.

L’ansia è un fenomeno complesso, universale, che appartiene alla sfera delle emozioni ed è avvertita come sensazione di attesa di qualcosa d’indefinito e spiacevole, una sorta di incombenza minacciosa, una irrequietezza psichica non identificabile ne definibile con precisione. La reazione d’allarme non è esclusivamente una peculiarità dell’uomo; si ritrova anche negli animali.

Nell’animale tutti i cambiamenti fisici (aumento della vigilanza, aumento del battito cardiaco, etc.) sono utili per un comportamento di attacco o di fuga. In altre parole, di fronte ad una minaccia o pericolo l’animale mette in atto una serie di modificazioni fisiche che sono funzionali ad affrontare la minaccia o tramite l’eliminazione diretta del pericolo (attacco) o tramite l’allontanamento dalla minaccia (fuga).

Ciò fa capire l’importanza della reazione di allarme come condizione che facilita la sopravvivenza dell’animale. Anche nell’uomo l’ansia, la reazione di allarme, ha un’importante funzione adattativa.

È, ormai, ampiamente dimostrato, il rapporto tra ansia e prestazione. A livello minimo di ansia la prestazione è praticamente nulla.

Con l’aumentare dell’ansia aumenta la performance, migliora la qualità della prestazione fino ad un livello ottimale.

Semmai è l’ulteriore aumento dell’ansia che comporta effetti negativi sulle prestazioni che decrescono progressivamente fino al punto di massima ansia che corrisponde all’impossibilità di ogni prestazione, alla paralisi.

Entro certi limiti l’ansia, quindi, è utile, anzi, necessaria. L’ansia cessa la sua funzione positiva quando è troppa, quando non è più utile e, quindi, diviene negativa per l’individuo. Gli stati di ansia possono avere intensità variabile, da un lieve senso di irrequietezza e di indefinito malessere generale a uno stato di tensione interno fino a forme acute di panico.

Nelle forme più lievi il soggetto si sente a disagio, inquieto, teso, insoddisfatto. Avverte un senso di tensione che non riesce a giustificare. Nelle forme più gravi si possono provare sensazioni di irrealtà e di sbandamento o di vertigine, come se le gambe non reggessero e si perdesse il senso dell’equilibrio.

Nella PAURA ciò che spaventa e minaccia è esterno e reale, identificabile: si ha paura di volare, delle altezze, dei luoghi chiusi, dei serpenti, della malattia, etc. Lo stato d’animo che ne deriva è interamente attribuibile all’entità della minaccia esterna. Nell’ansia non c’è il riconoscimento di ciò che ci minaccia come c e, invece, nella paura.

Si prova paura davanti ad uno stimolo reale (paura di) mentre l’ansia non può essere ansia di, è una paura senza contenuto. Nella paura c’è un orientamento verso il futuro, si prevedono conseguenze infauste. E una valutazione che indica un potenziale pericolo reale in una certa circostanza o evento.

Il PANICO è la forma più acuta, più intensa e più nettamente delimitabile temporalmente dall’ansia. Ha spesso la caratteristica della crisi nel senso di una insorgenza rapida e improvvisa.

Indicatori di ansia

  • “Che cosa succederà se io fallisco questo esame? La mia carriera sarà fallita ancora prima di cominciare. Io sto cosí male a pensarci che non riesco a studiare. Ma io devo studiare o…”.
  • “Non posso tenere questa conferenza domani perché so che sarò tanto nervoso da dimenticare cosa dovrò dire. Immagino già come sarà. Tutti quegli occhi su di me, tutta quella gente che sa quanto io sia nervoso ed inadeguato”.
  • “Quel lavoro è stato creato proprio per persone con le mie capacità . Dovrei fare il colloquio di assunzione. Ma potrei bloccarmi e rendermi ridicolo. Non posso sopportare di fare una brutta figura durante il colloquio. Ciò sarà spaventoso ed umiliante”.
  • “Ogni volta che lascio la casa, il mio cuore accelera. Sono sicuro che avrò un attacco cardiaco. Esattamente come mio padre che è morto di infarto”.

Questi sono solo alcuni esempi di pensieri e sentimenti che opprimono le persone che soffrono di ansia e di attacchi di panico. Dal momento che sia l’ansia che il panico sono l’accentuazione della sensazione di paura, essi indicano il timore di pericolo o minaccia al proprio benessere. Questo senso di minaccia si esprime con molte sensazioni fisiche – il “linguaggio corporeo” dell’ansia – che possono diventare a loro volta motivo di preoccupazione:

  • respiro rapido,
  • palpitazioni,
  • vertigini,
  • nausea,
  • cefalea,
  • sudorazione,
  • bocca secca,
  • nodo alla gola,
  • dolori muscolari,
  • oppressione toracica o gastrica,
  • sensazioni di sbandamento,
  • confusione,
  • vampate di calore o brividi di freddo,
  • affanno.

Quando lo stato d’ansia è prolungato, questi sintomi possono sembrare una malattia o un handicap. Una delle cose più importanti da memorizzare per una persona gravemente ansiosa è che le sensazioni che sta provando non sono pericolose. Il polso che corre o il cuore che batte, le vertigini o la nausea, il desiderio di gridare o piangere o battere sul tavolo: nessuna di queste reazioni fisiche o emotive indica che la persona è pericolosamente malata o sta per diventare pazza. Sono soltanto sensazioni spiacevoli e fastidiose. Ma possono essere tollerate fino a che andranno via. E andranno via.

Natura dell’ansia o del panico

L’individuo ansioso reagisce ad uno specifico oggetto o situazione che spesso è evitato perché può facilmente esserlo. Fino a che l’evento, l’oggetto o la situazione temuti non sono parte integrante della vita, la persona può rimanere libera dall’ansia. Ad esempio le persone che hanno una intensa paura di volare possono programmare di fare tutti i loro viaggi senza utilizzare l’aereo.

Colui che soffre di ansia, tuttavia, non può sempre individuare la causa della sua ansia. E anche se può identificarne la causa, non può sempre evitare di imbattersi in essa; le necessità della vita lo portano a confrontarsi con situazioni temute.

A volte è necessario per una persona avere paura per riconoscere un pericolo reale e prepararsi ad affrontarlo. Un certo grado di ansia può accompagnare tale paura. Ma la persona che soffre eccessivamente di ansia o di reazioni fobiche non risponde alla realtà delle situazioni. Le situazioni che evocano l’ansia non sono oggettivamente pericolose. Una persona può pensare in anticipo ad una minaccia anche quando esiste solo una piccola possibilità che ciò avvenga.

Se la persona si trova di fronte ad una sfida – un esame, un colloquio di lavoro – proverà ansia se ingigantirà le difficoltà ed insisterà sulle conseguenze di un esito negativo. L’ansia proviene dal modo di pensare a certe situazioni: io penso a cose negative ed evoco sensazioni ansiose.

Allo stesso tempo, si sottovaluta, sorvola o minimizza la propria capacità di affrontare con successo tutto ciò che fa paura.

In altre parole, si dà una interpretazione distorta della realtà che rende ansiosi perché si immaginano pericoli che non esistono o a cui si potrebbe far fronte con efficienza se non si fosse cosí inabilitati da se stessi, dalle proprie reazioni ansiose. La reazione ansiosa è corretta (io immagino le cose più terribili e giustamente ho una reazione di paura).

È il pensiero associato alla situazione che non è corretto (non esiste gran probabilità che succeda quella cosa di cui ho paura).

La situazione peggiora, quando una persona gravemente ansiosa diventa pienamente consapevole delle proprie spiacevoli reazioni fisiche ed emotive, e comincia ad averne paura ed a spaventarsene anche più della situazione che li scatena.

Tanto più la persona si turba, quanto più i suoi sintomi diventano esagerati e la persona è coinvolta in un circolo vizioso di sofferenza emotiva e fisica che cresce sempre più di intensità .

Oltretutto stare attenti al proprio corpo fa aumentare i messaggi che il nostro corpo ci invia (se si ha paura di avere le palpitazioni, si sta ad ascoltare continuamente il proprio cuore e ciò fa sí che il cuore aumenterà la frequenza delle pulsazioni).

Certi pensieri e immagini accompagnano automaticamente l’esperienza dell’ansia.

Questi pensieri o cognizioni sono usualmente concentrati sul futuro:

“Sarò licenziato”; “Farò la figura dello stupido e sarò umiliato”; “Potrei essere rifiutato”; “Non sarò all’altezza”, “Morirò di un infarto”.

La connessione tra questi pensieri automatici e l’ansia che ne deriva ha suggerito che, identificando questi pensieri e poi riformulandoli in modo più aderente alla realtà, l’ansia stessa potrebbe essere modificata e persino sradicata. L’esperienza con pazienti ha fatto sostenere l’efficacia di questo metodo, che è chiamato terapia cognitivo-comportamentale in quanto essa riguarda il modo in cui i pensieri della persona influiscono sulle sue emozioni ed i suoi comportamenti.

Il metodo cognitivo

Nell’aneddoto seguente si può individuare il modo in cui la “voce interna” dell’ansia distrugge la capacità di funzionare in maniera adeguata.

Un giovane vuole chiedere un appuntamento ad una ragazza. Ma ogni volta che ha l’opportunità di farlo, spuntano i pensieri ansiosi: “Lei penserà che sono ridicolo ad essere tanto nervoso. Mi scaricherà ed io mi sentirà tanto stupido che … ci rimarrò tanto male che ci piangerò. Povero me!”.

Durante l’incontro via via che questi pensieri affluiscono alla sua mente, la sua gola si stringe, la sua bocca si secca e non gli esce una parola anche se ci prova. L’opportunità di un appuntamento se ne va, ed il giovane adesso odia se stesso per aver di nuovo fallito. “Sono un perdente”, pensa.

Come può la terapia cognitivo-comportamentale aiutare questo giovane e quelle persone i cui pensieri ansiosi e la immaginazione interferiscono con la loro capacità di vivere al meglio la vita? Attraverso la terapia si impara ad applicare le proprie capacità di ragionare e di osservare le situazioni che nella vita causano ansia.

Come uno scienziato, con la vita come laboratorio e se stessi come esperimenti, saranno analizzati scrupolosamente i comportamenti, i pensieri e le emozioni che li accompagnano. Pensieri, emozioni e comportamenti sono embricati gli uni con gli altri e si influenzano reciprocamente. Se un individuo si pensa un fallito, proverà vergogna e molto probabilmente fallirà. Si imparerà a verificare le proprie idee per determinare quanto esse siano realistiche.

Quando si riuscirà gradualmente a individuare ed eliminare le distorsioni e le imprecisioni del proprio pensiero, verrà sviluppato un modo corretto e soddisfacente, libero dall’ansia, per trattare le situazioni della vita.

Se si riuscirà a valutare con più attenzione i propri comportamenti, pensieri ed emozioni si scoprirà con stupore che tutto quello di negativo in cui si è creduto per anni non è poi cosí evidente.

Fasi in terapia cognitiva

Il primo passo consiste nel provare a riconoscere un pensiero automatico (quei pensieri che accompagnano ogni comportamento) ogni volta che vi sentite ansiosi. Per aiutare a riconoscere i propri pensieri automatici bisogna tenere queste caratteristiche in mente:

  1. Questi pensieri spesso sembrano venire fuori dal niente. Essi non provengono dai ricordi coscienti o da tentativi di ragionare o sviluppare un filo logico di pensiero.
  2. I pensieri sono spesso assurdi, molto spesso il frutto di affrettate conclusioni, come ci si rende conto quando, con l’aiuto del terapeuta, si impara a valutarli con la logica e l’evidenza.
  3. Anche se i pensieri sono assurdi e sbagliati, essi probabilmente sembrano plausibili ed attendibili nel momento in cui si provano. Di solito si tende ad accettarli senza critica come un pensiero del tipo: “Il telefono sta squillando – Dovrei rispondere”.
  4. Questi pensieri non sono di nessuna utilità ed interferiscono con la capacità di controllare i comportamenti. Quindi, più vengono accettati, più ci si sente ansiosi.

Provate a ricordare cosa vi siete detti e quali immagini mentali o fantasie avete avuto nella vostra mente quando avete cominciato a sentirvi ansiosi.

I pensieri possono essere stati scatenati da un evento immediato – la necessità di sostenere un esame, partecipare ad un evento sociale, prendere un appuntamento per un colloquio di lavoro – oppure possono essere correlati alla possibilità di un evento nel futuro lontano o indeterminato, come sposarsi o divorziare, avere un infarto, un incidente, o un fallimento nella carriera.

Secondo passo, dopo aver imparato a riconoscere questi pensieri, è di registrarli scrivendoli su un blocco. Con l’aiuto del terapeuta, si imparerà a valutarli, a considerarli alla luce della personale logica e specifica conoscenza della realtà. Il terapeuta può anche mostrare come registrare l’ansia su un grafico, raffigurante la frequenza e la durata. L’ansia può essere raffigurata come una curva che sale, che rimane per un certo tempo in fase attiva e che poi decresce: l’ansia prima o poi passa. Ogni esperienza ansiosa è limitata nel tempo.

Il terzo passo è sviluppare e realizzare strategie per esaminare i propri pensieri e convinzioni riguardo ciò che potrebbe accadere.

Per esempio, il giovane dell’aneddoto programmerà di chiedere un appuntamento alla ragazza, non allo scopo di ottenere l’appuntamento realmente, ma per verificare la sua capacità di fare la proposta, per verificare le idee esagerate sulla probabilità di essere rifiutato e la sua opinione di come il rifiuto lo coinvolgerà.

Il quarto passo è discutere i risultati del test. Il giovane può scoprire che poiché stava solo facendo una “prova”, la sua ansia per il risultato si era ridotta, e che anche un risultato negativo non era poi cosí disastroso come se lo era immaginato. Il quinto passo, per esercitarsi ad affrontare le difficoltà, è cercare di immaginarsi “dall’altra parte della barricata”: in tal modo si possono sfidare alcune idee riguardo a ciò che accadrà in certe situazioni. Quando ci si sente a proprio agio nell’applicare i metodi appresi, i pensieri produttori di ansia diminuiranno, e verrà sperimentato un senso di fiducia e piacere nella propria capacità di controllare attivamente le risposte e di andare incontro alla vita cosí come viene.

Errori di pensiero

Quando si annotano dei pensieri produttori di ansia, ci si può accorgere che alcuni errori di pensiero rientrano in queste categorie generali.

  1. ESAGERAZIONE: Una donna era convinta che suo marito stesse per lasciarla, che era troppo vecchia per essere attraente per lui. L’ansia le faceva notare le nuove rughe sulla propria faccia e sul collo, i capelli grigi sulla testa, e la portava a confrontarsi sfavorevolmente con ogni giovane donna che incontrava. Non poteva riconoscere nessuno dei propri meriti ed era troppo sconvolta per potersene attribuire la maggior parte. Inoltre, sottovalutava la fedeltà e l’amore di suo marito e non rifletteva sul fatto che anche lui mostrava segni di invecchiamento.
  2. CATASTROFISMO: Quando la persona ansiosa si aspetta un pericolo o una situazione difficile, immagina un totale disastro come conseguenza. Un paziente ansioso davanti alla prospettiva di un intervento chirurgico relativamente semplice, teme che il risultato sarà la morte o una prolungata inabilità.
  3. GENERALIZZAZIONE ECCESSIVA: Un’esperienza negativa, come una mancata promozione, sarà tradotta in una legge che regola l’intera esistenza di una persona (“Non otterrò mai niente nella vita. Non posso raggiungere nessun obiettivo”).
  4. IGNORARE IL POSITIVO: La persona ansiosa sottovaluta la propria capacità di far fronte agli eventi con successo, dimentica tutte le esperienze positive del passato, è si aspetta solo problemi insormontabili e sofferenze insopportabili nel futuro. Per esempio, lo studente ansioso ignorerà i buoni voti agli esami passati: dimenticherà anche che questo è solo uno dei tanti esami e che di per sé non sarà decisivo per la sua carriera.

Esercizi a casa

Una parte importante della terapia è l’assegnazione dei compiti a casa. Dal momento che si stanno apprendendo dei metodi per far fronte all’ansia che saranno applicabili per tutta la vita, eseguire i compiti a casa assegnati non solo rafforza la capacità di usare le strategie sviluppate in terapia ma anche fornisce un modo per verificare le proprie idee in situazioni di vita reale.

In aggiunta al controllo e alla registrazione dei pensieri automatici, sarà importante imparare ad affrontare le situazioni che producono ansia cosí da poter controllare le reazioni ansiose, magari “stroncandole sul nascere”.

Ecco alcune delle idee che si possono tenere a mente mentre si mettono in pratica le nuove tecniche.

  1. Prima di affrontare la situazione che produce ansia, bisogna considerare quelli che possiamo chiamare “fattori di soccorso”. Che cosa si deve andare a cercare? Lo studente ansioso può concentrarsi sul ricordo dei suoi buoni voti, sulla sua giudiziosa preparazione di molti mesi, sul buon risultato degli esami passati.
  2. Per evitare il catastrofismo, è meglio pensare alla peggior conseguenza possibile collegata alla situazione. Per esempio, se lo studente fallisse, ciò significherebbe veramente la fine della sua carriera? Non avrà più opportunità di verificare le sue capacità ? Di solito sarà possibile tollerare o “convivere” con la cosa peggiore. E poiché la cosa peggiore è improbabile, si risulterà capaci di prendere ciò che viene.
  3. Se immagini di dolore o umiliazione cominciano a inondare la mente, si dovrà fare un elenco e considerare ogni immagine o fantasia alla luce della logica e del grado di probabilità. Quando si inizierà a vedere quanto queste immagini siano realmente illogiche o improbabili, si imparerà ad affrontarle man mano che arrivano.
  4. Se ci sono poche convinzioni di base alla radice dell’ansia, si dovranno procurare dei dati di fatto per verificarle, infatti la conoscenza è l’antidoto della paura. Se una persona ha una fobia degli ascensori, si dovrà procurare tutti gli elementi che è possibile raccogliere riguardo ai sistemi di sicurezza degli ascensori: costruzione, ispezione, frequenza degli incidenti, sistemi di allarme, e simili. Se ci si preoccupa di un attacco di cuore, si effettuerà un check-up e si seguiranno le raccomandazioni di un medico riguardo all’abituale esercizio fisico.
  5. Se ci si sente schiacciati al pensiero di affrontare realmente una situazione che scatena ansia, si dovrà farlo gradatamente. Per esempio, se un uomo è ansioso e non riesce a chiedere un appuntamento ad una donna, può dapprima esercitarsi nel chiederlo ad una amica. Chi ha la paura di salire in edifici alti può salire pochi piani per volta, dapprima con un amico, poi da solo. Chi ha paura di allontanarsi da casa può gradatamente provare ad uscire: prima pochi metri, poi sempre di più.
  6. Quando si è già nel mezzo di una situazione critica e l’ansia sta aumentando, sarà opportuno mettere in pratica la tecnica della “diversione”: concentrarsi su vari dettagli che non hanno nessuna relazione con l’ansia. Non è facile come sembra concentrare l’attenzione su qualcos’altro. Distrarsi vuol dire concentrarsi attentamente sui particolari. La persona che si distrae dovrà essere particolarmente pignola. Di fronte ad un esame, si leggerà la marca di una penna o saranno osservati i vari tipi di scarpe dei vari studenti. In una situazione sociale, saranno studiati i tipi di tessuto, lo stile dei mobili, l’abbigliamento delle persone e fatte fantasie sulle loro vite, sui loro interessi, etc.

Il terapeuta aiuterà ad applicare queste tecniche alle varie situazioni e incoraggerà a provare più modi per controllare l’ansia, come aumentare la stimolazione sensoriale suonando campanelli o battendo le mani, sostituendo una fantasia piacevole a una sconvolgente, mettendo in pratica deliberatamente la capacità di eliminare una fantasia spiacevole, come cambiando canale di fronte a un programma televisivo che non piace. Nelle sedute di terapia, verranno ripetute queste tecniche cosí da poterci fare affidamento una volta da soli.

Gli inizi sono importanti. Una volta che si è iniziato, una volta che si è presa la decisione e iniziato a realizzarla, si diventerà consapevoli del maggior potere e controllo che è già dentro se stessi. Mettere a punto obiettivi dà fiducia nel proprio programma. Se una persona ha in mente una chiara immagine di come gli piacerebbe cambiare e immagina quanto la sua vita potrebbe essere piacevole se fosse libera dall’ansia, saprà che sta lavorando in questa direzione.

Ricordate che si raccoglierà solo ciò che si è seminato. Si deve faticare se si vogliono cambiamenti significativi.

Se le reazioni ansiose sproporzionate sono presenti da un lungo periodo ci vorrà tempo e fatica per isolare vecchi modelli di pensiero e sviluppare modi per neutralizzarli e sradicarli.

Ci sono persone che possono dare un aiuto se c’è bisogno. La famiglia, parenti, amici, soci d’affari, membri della chiesa, medici, e altre persone interessate al benessere della persona che gli è vicina sono tutti potenziali partecipanti al suo progresso. Dovremo imparare a rivolgerci a loro per comprensione e aiuto. Di solito queste persone sono disponibili e felici di aiutare qualcun’ altro. Dovremo essere scrupolosi nell’uso delle tecniche imparate. Sebbene la durata della terapia sia limitata nel tempo, i metodi che apprenderemo saranno applicabili per tutta la vita.

Nessuno è libero per sempre da problemi emotivi, l’ansia ci accompagna tutte le volte che dobbiamo risolvere un problema. Ci accorgeremo che l’ansia che produciamo non dominerà la nostra esistenza. E, alla fine, ci permetteremo il piacere e l’eccitazione di esplorare nuovi modi di andare incontro alle sfide della vita.

Affrontare il panico

Gli attacchi di panico possono costituire un problema che spaventa e demoralizza al tempo stesso. Coloro che ne soffrono limitano le loro attività o convivono con essi con la preoccupazione di poter avere incontrollabili momenti di terrore, forti sintomi psichici, paura di morire o di impazzire durante gli attacchi.

È possibile, però , imparare ad affrontare un attacco di panico.

Quando una persona si rompe una gamba, deve effettuare un periodo di riabilitazione e dopo aver lavorato duro riesce a camminare e correre; e cosí , dopo un periodo di addestramento, le persone possono allenarsi prima a camminare zoppicando, poi a camminare e poi a correre come più gli piace riuscendo ad affrontare positivamente la propria difficoltà . Per molte persone gli attacchi divengono gradualmente meno frequenti e meno gravi. Sapere che si è in grado di gestire i sintomi quando si manifestano, restituisce le persone alle vecchie abitudini e li rende fiduciosi nel provare nuove esperienze.

Capire il panico

Gli attacchi di panico sono il risultato di una complessa interazione di reazioni fisiche, pensieri ed emozioni. Le due situazioni che seguono possono essere utili per cominciare ad analizzare il problema.

  • Immaginiamo un primo caso in cui c’è un soldato in una zona di guerra ad alta tensione. In seguito ad un’esplosione di fuoco nemico i suoi muscoli si irrigidiscono ed il suo cervello percepisce chiaramente il pericolo. Improvvisamente, la sua paura si intensifica. Un pensiero sale alla mente: “Cosa succederà se muoio qua, lontano dai miei cari?”. Adesso il suo cuore batte forte, il sudore compare sulle tempie e il soldato è particolarmente sensibile e attento a tutto ciò che avviene intorno a lui. Poi, ancora una volta, il rumore dell’artiglieria. Rapidamente la sua mente riflette su come lasciare quel luogo. Si metterà in salvo, si sentirà sollevato ma tremolante e debole ed il suo corpo tornerà lentamente ad una situazione di normalità dopo la paura.
  • Adesso immaginatevi una seconda scena. Una persona mentre sta guidando la propria auto verso casa ha una sensazione di tensione emotiva. Improvvisamente il cuore comincia a palpitare e si sente strano e preso leggermente da vertigini. I pensieri arrivano velocemente nella sua mente: “Cosa succede se svengo o mi prende un infarto? Forse avrò bisogno di cure mediche e sono ancora lontano da casa”. Poi il traffico rallenta sensibilmente: la possibilità di ricevere aiuto sembra allontanarsi. Nota un aumento del ritmo di respirazione e non può fare a meno di pensare a nient’altro che al suo battito cardiaco. Paura ed apprensione gli prendono per alcuni minuti che sembrano senza fine e quasi insopportabili. Adesso pensa: “Potrei perdere il controllo di me stesso, uscire dalla macchina e cominciare a gridare”. Presto il panico passa ma lui si sente debole, spaventato da quello che gli è appena successo e preoccupato che gli stessi sintomi possano presentarsi ancora.

I due episodi presentano alcune somiglianze. In entrambi i casi, corpo e testa reagiscono nettamente quando la persona percepisce il pericolo. Sia il soldato che il guidatore hanno un’esperienza fisica ed emotiva conseguente al pensiero di paura o di perdita di coscienza. Entrambi si concentrano intensamente sulla fonte del pericolo e su come poterne uscire. Passato il pericolo, entrambi si sentono indeboliti dalla dura prova. Le due scene mostrano il funzionamento del “sistema di allarme” di cui è dotato l’essere umano e che si attiva rapidamente in caso di pericolo. Il sistema di allarme ci permette di preparare azioni evasive, di mantenersi freddi e combattere con convinzione contro un nemico, tutto senza programmazione od analisi razionale.

La natura ci suggerisce di prestare attenzione al pericolo interrompendo le attività di routine fino a che “tutto è chiaro”.

Ci sono comunque importanti differenze tra il soldato e il guidatore. Il soldato conosce il pericolo che ha causato la sua reazione e sa quali azioni intraprendere di conseguenza. Oltre ciò egli è consapevole che la paura e le sgradevoli sensazioni del corpo sono naturali reazioni al pericolo di una battaglia e che le sue azioni e risposte per sfuggire alla situazione sono comprensibili da chiunque le osservi.

Il guidatore non comprende il motivo dei suoi sintomi. Esso non crede che la causa dei sintomi sia solo “ansia” e non sa quale comportamento prendere. Ciò che gli passa per la mente, cercare aiuto, è di per sé allarmante dal momento che potrebbe non essere possibile trovare un aiuto immediato e non sa se sta facendo cose che gli faranno passare quello che prova.

Non capire cosa succede fa stare molto male: se ci diamo una spiegazione il senso di malessere passa immediatamente.

Quello che sentiamo è sempre in relazione a qualche evento, per noi stessi importante, che porta a pensare certe cose che evocano tale stato emotivo; le proprie sensazioni sono sempre l’indicatore di qualcosa che sta succedendo nella vita e su cui si deve riflettere. Se si riesce a mettere a fuoco l’evento e il pensiero conseguente che ha evocato lo stato d’animo che stiamo provando, riusciremo a stare subito meglio.

I due casi sono certamente diversi. Il soldato e il guidatore differiscono nel modo in cui interpretano le loro sensazioni fisiche. Le pulsazioni cardiache ed altre sensazioni sono per il soldato semplicemente segnali di attesa di un pericolo, non pericolose per se stesse.

Il guidatore interpreta le proprie sensazioni come estremamente pericolose. Dal momento che egli non è a conoscenza di nessun pericolo esterno, si convince di stare subendo un disastroso processo interiore, forse una catastrofe fisica e psicologica. Esso crede di avere un disperato bisogno di aiuto.

Vi sono differenze sostanziali nei due casi ed è chiaro che il guidatore non capisca la natura dei propri sintomi. Non capisce che ciò che prova è semplicemente ansia.

Non si rende conto che non c’è bisogno di alcuna azione per ridurre i sintomi, che il meccanismo regolatore del proprio corpo li ridurrà entro breve tempo. Inoltre, se il guidatore sapesse che gli attacchi di panico non sono cosí rari (da vari studi emerge che il 30% o più della popolazione ha avuto almeno un attacco di panico nella vita), potrebbe essere meno spaventato che i suoi sintomi possano apparire agli altri ed essere fonte di imbarazzo.

Allo stesso tempo, potrebbe cominciare ad osservare più attentamente le circostanze della propria vita e le proprie risposte emotive e scoprire che è lo stress accumulato in certe situazioni precise che può aver portato a queste reazioni cosí intense.

I sintomi del panico sono i sintomi simili ad una risposta di paura rispetto a situazioni di pericolo. I sintomi del panico provengono da una scarica di adrenalina che oltre a darci sintomi vissuti negativamente (palpitazioni, vertigini, soffocamento, etc.) ci stimola maggiore efficienza e concentrazione per affrontare il pericolo. Se una macchina ci attraversa un incrocio mentre stiamo guidando noi riusciamo ad evitarla e a salvarci per merito suo.

Molte persone vivono le sensazioni di panico associandole a benessere: dicono di desiderare di voler provare un po’ di adrenalina (le persone che amano il pericolo, il piacere di fronte a film paurosi, etc.). Il nostro guidatore potrebbe imparare a rispondere con più calma e fiducia allo stress cosí come ai sintomi di ansia. Oltretutto gli attacchi possono svilupparsi differentemente: una rabbia intensa nei confronti di un collega, ad esempio, potrebbe causare palpitazioni, nervosismo, ed altre forti sensazioni fino ad una perdita di controllo. Molte volte situazioni di rabbia o di emozione intensa anche positiva assomigliano a reazioni dí panico.

L’attacco può anche iniziare da una normale risposta fisica, dolore al torace per una corsa, una sensazione di pienezza addominale per aver mangiato troppo, una sensazione di gola che si chiude per un affaticamento, leggere deformazioni alla vista per un calo pressorio, sensazioni di debolezza in una stanza con aria afosa, etc.

In tutti questi casi, se vengono associati pensieri dí pericolo (qualcosa di terribile sta succedendo), ci si potrebbe ritrovare sudati e tremolanti come il soldato nel campo. Il guidatore, come altri che soffrono di panico, può apprendere alcune tecniche per mantenersi calmo durante un attacco di panico o impedire che un attacco divenga grave.

Ci sono molte tecniche di rilassamento che possono essere utili per diminuire i sintomi d’ansia. Ad esempio, deviare l’attenzione o criticare i timori rallenta il flusso di segnali di pericolo che corrono verso il cervello.

Rilassare il corpo può ridurre sensazioni di allarme. Il guidatore, comunque, dovrà trascorrere un periodo di prova per selezionare le tecniche più adatte e periodi di pratica e addestramento per l’uso di tali tecniche.

Se questo pare irragionevole, bisogna ricordarsi che il soldato ha dovuto sostenere un periodo di addestramento per reagire efficientemente in situazioni di stress.

La psicologia del panico

La nostra esperienza nella cura di persone con panico ci ha insegnato molto circa i pensieri e le immagini che si presentano prima e durante un attacco di panico.

Molti hanno pensieri quali: “sto per morire, avrò un collasso”; “questo è quello buono, un attacco di cuore che sarà fatale”; “cosa succederà se perdo il controllo?”.

Oppure immaginano di avere un collasso per la strada, ignorati dai passanti.

Questi vengono definiti pensieri ed immagini automatiche perché sono rapidi e spontanei ed accadono senza una logica. Tali pensieri ed immagini paiono plausibili quando accadono, ma sono spesso meno credibili visti in retrospettiva. Ripensandoci essi sono chiaramente irreali, esagerati o completamente sbagliati. Sebbene ogni essere umano abbia “pensieri automatici”, in coloro che soffrono di ansia e panico, sono presenti alcuni temi particolari. Il tema del pericolo, ad esempio, è frequentemente presente.

Il circolo vizioso

I pensieri automatici in situazioni di panico fanno quasi sempre parte di un circolo vizioso di pensieri, emozioni e sensazioni fisiche. Generalmente è un pensiero che fa partire il ciclo: ad esempio “cosa succederà se ho un attacco di panico mentre sto guidando?”. Il pensiero, che contiene l’idea del pericolo, scatena ansia ed una serie di sensazioni fisiche e mentali (ad esempio, vertigini, mani formicolanti, mancanza di fiato o sensazioni irreali). Adesso, altri pensieri si formano: “oh no, ho ancora le vertigini; potrei perdere i sensi”. Ad ogni pensiero l’ansia aumenta. La persona è cosí emotivamente e fisicamente scossa che ha problemi a tornare a pensare in modo razionale. La visione del “tunnel della paura” dove tutti i pensieri sono focalizzati solo sul pericolo imminente si sviluppa via via che ci si concentra sulle proprie paure e sensazioni interne. Guidare diventa sempre più sgradevole e potrebbe essere evitato in futuro. Questa persona può iniziare a pensare che guidare potrebbe peggiorare il proprio stato di apprensione. Potrebbe pensare: “forse è uno sbaglio guidare, qualcosa di terribile potrebbe accadere”.

Altre volte è una sensazione che dà inizio a un circolo vizioso. Le luci sembrano fare “zig e zag” improvvisamente o si sente dolore al torace, confusione od altre sensazioni sgradevoli, al momento inspiegabili.

Arrivano pensieri come “non mi sento bene per niente”, “ho bisogno di aiuto”. Ansia e paura aumentano e la sensazione si intensifica con nuovi sintomi quali mal di testa, nausea, vampate di calore, tremore e ancora altri pensieri sgradevoli.

Convinzioni e supposizioni

I pensieri che spaventano hanno origine da convinzioni e supposizioni create da colui che ne soffre.

Tali pensieri ed ipotesi variano da persona a persona ma partono sempre dall’idea che i sintomi di panico indichino un malessere fisico e che possano essere pericolosi. La persona che soffre di panico si immagina particolarmente vulnerabile. Sostiene esami medici di tutti i tipi ed è convinta di soffrire di varie malattie tipo cefalea, ipertiroidismo, esofagite, ipertensione, etc. Magari un membro della propria famiglia era morto prematuramente o aveva sofferto problemi cardiaci; magari la persona stessa aveva subito una perdita, una malattia od altro.

Non pensa di soffrire di attacchi di panico e anche quando comincia ad essere convinta di avere un disturbo psicologico pensa a piccoli problemi come giganteschi, che piccoli sintomi diventino enormi. E si convince di essere “senza difesa”, incapace di superare quel genere di problema. Di conseguenza comincia a preoccuparsi sul futuro e come evitare il problema o prevenire un suo sviluppo. Essa si convince di dover vigilare attentamente la propria emotività in modo da prendere le misure in caso di difficoltà . Nessuna meraviglia se si manifestano problemi di concentrazione, rilassamento e difficoltà a divertirsi.

Rallentare il circolo vizioso

Se sintomi negativi ne causano altri a catena, come devono essere fronteggiati? A nostro parere le persone devono abituarsi a reinterpretare le sensazioni fisiche che li disturbano.

Quando si rendono conto che i loro sintomi possono essere spiegati e che le catastrofi che loro immaginano sono estremamente improbabili. la paura di nuovi sintomi si riduce.

I sintomi perdono cosí il potere di agire sul circolo vizioso di panico ed apprensione. Il processo di apprendimento necessita di alcuni passaggi.

Le persone devono osservare le emozioni, sensazioni e pensieri che si verificano durante il corso di un attacco di panico. Essi devono identificare ogni immagine: quale catastrofe ci si immagina al manifestarsi dei sintomi? Con questi dati in mano, e con l’aiuto di un terapeuta, i pazienti circoscrivono le idee che provocano in loro panico. Sono rieducati sulla natura dei propri sintomi ed apprendono tecniche che aiutano a ridurre i sintomi ad un livello più accettabile.

Come ultima cosa, ed è il passo più importante, conducono esperimenti che verificano la validità dei loro pensieri e delle loro convinzioni che provocano paura.

Esperimenti e tecniche di risposta

Nelle persone che hanno avuto attacchi di panico emerge la convinzione che gli attacchi di panico sono pericolosi ed incontrollabili. Tali convinzioni che non corrispondono alla realtà possono essere esaminate e verificate in vari modi.

Una prima strada può essere seguita producendo un “mini-attacco”. Questi esperimenti forniscono valide informazioni per conoscere i fattori che determinano il problema del panico. Per alcuni l’iperventilazione svolge un ruolo importante nella manifestazione dei sintomi. Possiamo accertarlo facendo respirare velocemente e profondamente per un breve periodo di tempo, quindi osservare le sensazioni, pensieri, ed immagini che si presentino. Le persone possono rendersi conto che i loro sintomi sono legati alla respirazione. Può essergli dimostrato che mettendosi un sacchetto di plastica davanti alla bocca e respirando lentamente i sintomi panicosi decrescono rapidamente.

Altri provano sensazioni di panico salendo le scale, correndo, restando sul posto, o immaginando deliberatamente scene paurose. In ciascun caso, dobbiamo considerare la possibilità che normali reazioni fisiche si combinano con i pensieri producendo un “circolo vizioso”.

Esaminare l’evidenza aiuta di solito il paziente a capire che gli attacchi non sono pericolosi sebbene possano essere spiacevoli.

Fare sport, ad esempio, aiuta a far capire che esistono reazioni simili che non sono pericolose e che fanno bene alla salute. Tali informazioni aiutano a sviluppare strategie di risposta.

Se il problema è legato alla respirazione si possono apprendere forme di controllo della respirazione per ridurre al massimo l’iperventilazione. Se la tensione dei muscoli è il problema, esercizi di rilassamento possono essere utili.

Si può indurre la propria mente ad immaginare scene felici.

Si può indurre lo stop alla nostra attività mentale negativa.

Si può controllare il panico spostando l’attenzione su oggetti, suoni, odori, su una conversazione.

Questi sono tutti elementi che frenano lo svilupparsi della paura e di altri sintomi. Ciascuna tecnica si traduce in un esperimento. L’esercizio e la verifica con il terapeuta generano fiducia perché fanno capire che la persona può essere attiva nella ricerca di interventi per diminuire la sua ansia e far fronte agli attacchi.

Il background dello stress e la terapia cognitiva

Gli attacchi di panico si manifestano su persone particolarmente stressate. Tali soggetti sono spesso arrabbiati, tristi, soli e preoccupati del lavoro e della famiglia. è difficile per loro ammetterlo ed il problema rimane insoluto e continua a produrre stress ed ansia.

La terapia cognitivo-comportamentale può risolvere questi problemi cosí come gli attacchi di panico. Il modello cognitivo insegna a ricercare il problema, i “pensieri automatici” negativi, in ciascuna situazione dove le emozioni sono particolarmente sgradevoli. Esaminando i pensieri ci si rende conto se essi contengono un grado di distorsione o esagerazione. Le persone riescono a pensare più realisticamente e a ricercare soluzioni al problema.

Ridurre lo stress che ne è alla base non solo facilita il problema del panico ma può avere un beneficio addizionale. Può aiutare a riconsiderare le proprie supposizioni su sé stessi e sulle persone che ci circondano e raggiungere più tranquillità e soddisfazione a casa e al lavoro. Ci può essere speranza di un recupero di una vita senza attacchi di panico. Un impegno di tempo e di energia può condurre alla piena libertà . Un senso di orgoglio nel fronteggiare con successo un problema difficile può sostituire l’ansia, l’imbarazzo e la paura.

Ansia e panico: istruzioni per l’uso

L’ansia è un’emozione fastidiosa, spesso dolorosa di attesa non motivata che ci può accompagnare per un attimo o per un periodo di tempo più o meno lungo.

L’ansia ci è utile quotidianamente essendo un meccanismo che fa parte del nostro sistema di attivazione di fronte a situazioni nuove o impreviste di pericolo. L’ansia è fondamentale per la nostra sopravvivenza.

L’ansia diventa patologica quando la nostra interpretazione di uno stimolo diventa non più corretta identificando l’evento come più impegnativo di quanto esso sia in realtà .

Non è l’ansia ad essere patologica, è il pensiero che associo alla situazione. L’ansia è la corretta reazione a qualcosa di terribile che immaginiamo.

L’ansia può essere considerata uno stratagemma per attirare l’attenzione verso un problema. Funziona in modo molto simile al dolore. Talvolta ci confondiamo e pensiamo che il problema sia l’ansia. è come pensare che il dolore sia il disturbo.

Ricordate che il suo ruolo è richiamare la vostra attenzione ad un problema, permettervi di riparare la ferita, di scacciare l’infezione. In modo analogo l’ansia serve ad aiutarvi a ridurre il pericolo. Tuttavia quando il problema non è il pericolo vero e proprio ma la vostra distorsione o esasperazione di esso, non avete alcun modo di fronteggiarlo efficacemente.

L’ansia non serve più a proteggervi dalla minaccia. In effetti vi ostacola nel valutare accuratamente il pericolo e nel selezionare una risposta appropriata. Per affrontare, quindi, l’ansia cattiva, potete usare la seguente strategia.

  1. ACCETTARE L’ANSIA Nei dizionari accettare è definito come dare il consenso a ricevere. Acconsentite a ricevere la vostra ansia. Datele il benvenuto salutandola. Dite a voi stessi: “l’accetterò con piacere”. Decidete di accettare l’esperienza. Non combattetela. Sostituite il rifiuto, la collera e l’odio con l’accettazione. Resistendo, ne prolungate gli aspetti spiacevoli. Invece, lasciatela fluire. Non rendetela responsabile di come pensate, sentite, e agite. L’ansia fa parte di voi; combatterla è come combattere contro una parte di sé. Chi è ansioso non è malato, è particolarmente sensibile e attiva l’ansia più facilmente. Prova ne è che la vostra ansia si manifesta solo in determinate situazioni e in molti periodi della vostra vita siete stati bene. La chiave per interrompere uno stato d’ansia è accettarlo completamente. Rimanere nel presente e accettare la vostra ansia la fa scomparire.
  2. OSSERVARE L’ANSIA Guardatela senza giudizio, né buono né cattivo. Non guardatela come un ospite indesiderato. Invece valutatela (ad esempio in una scala da O a 10) e osservatela salire e scendere. Osservate e guardate i livelli massimi e minimi della vostra ansia e osservate le situazioni che la fanno aumentare o diminuire. Siate distaccati. Ricordate, non siete la vostra ansia. Più separate voi stessi dall’esperienza, più potete osservarla. Guardate i pensieri, le sensazioni e le azioni come se foste un amico ma non troppo interessato. Dissociatevi dall’ansia. Siate nello stato d’ansia ma non fatevene travolgere. Cercate di avere un atteggiamento distaccato e dissacrante magari ironizzandoci.
  3. AGIRE CON L’ANSIA Normalizzate la situazione. Agite come se non foste ansiosi. Convivete con essa. Rallentate se dovete, ma continuate ad andare. Respirate lentamente e normalmente. Se fuggite dalla situazione, l’ansia si abbasserà ma la paura salirà . Se non vi fermate sia l’ansia che la paura si abbasseranno e voi potrete, in poco tempo, continuare a fare quello che già stavate facendo.
  4. L’ANSIA FA BENE Quelle percezioni che avete e che durano solo pochi secondi fanno parte del vostro patrimonio biologico. L’ANSIA FA BENE perché vi permette di affrontare le situazioni pericolose della vita. Se siete di fronte ad un pericolo (ad es. un incidente mentre guidate) avrete una scarica di adrenalina che vi permetterà di affrontare meglio la situazione (aumentando le vostre capacità di prestazione). A volte è necessario per una persona sperimentare paura per poter riconoscere la minaccia di un pericolo reale e prepararsi ad affrontarlo. La natura ci ha fornito di ansia come una reazione di difesa che serve per sopravvivere.
  5. ASPETTARSI IL MEGLIO Ciò che più temete raramente accade. Le più famose società di assicurazioni hanno guadagnato miliardi sfruttando la tendenza di tutti noi di stare in ansia per cose che raramente si verificano; sono pronte a scommettere con chiunque che le disgrazie previste non accadranno mai: solo che non le chiamano scommesse ma assicurazioni e cioè una scommessa basata sul calcolo delle probabilità .
  6. NON C’è PERICOLO I sintomi che state sperimentando NON SONO PERICOLOSI. Non rischiate nulla per la vostra vita. Il polso che corre o il cuore che batte, le vertigini o la nausea, il desiderio di gridare o piangere o battere sul tavolo: nessuna di queste reazioni fisiche o emotive indica che la persona è pericolosamente malata o sta per diventare pazza. Sono spiacevoli. Sono fastidiosi. Ma possono essere tollerati fino a che vanno via. E andranno via.
  7. L’ANSIA DURA POCO Ogni esperienza ansiosa è LIMITATA NEL TEMPO. I sintomi sono in relazione a una scarica di adrenalina che fisiologicamente dura solo alcune decine di secondi. Potete aumentare il tempo dell’ansia solo se pensate immagini o situazioni catastrofiche: è come se vi rispaventaste.
  8. DISTRARSI DALL’ANSIA Cercate di distrarvi, utilizzate la TECNICA DELLA DIVERSIONE. Concentratevi sui particolari e i dettagli di quello che vi circonda che non hanno nessuna relazione con la vostra ansia; magari descriveteli a voce alta. Farete passare il breve momento ansioso che vi ha preso e vi sentirete meglio dopo poco tempo.
  9. AFFRONTARE CON PICCOLI PASSI Ponetevi PICCOLI OBIETTIVI. Raccoglierete solo quello che avete seminato. Affrontate una situazione di cui avete paura proponendovi solo piccoli compiti da effettuare e siate contenti dei piccoli risultati ottenuti. Se non siete in grado di completare una prova vuol dire che ancora e troppo per voi. Ci arriverete passo per passo. Nella vita esiste sempre una parte del problema che potete affrontare e risolvere.
  10. ACCETTARE E MIGLIORARSI Non siate sorpresi la volta che avrete ansia. Invece, sorprendete voi stessi col vostro modo di trattarla. Finché vivrete avrete ansia. Liberatevi dalla convinzione magica di aver sconfitto l’ansia per sempre. Aspettandovi l’ansia in futuro, state mettendovi in una buona posizione per accettarla quando verrà di nuovo. Rileggete e cercate di applicare ciò che avete letto. Continuate ad ACCETTARE LA VOSTRA ANSIA, ad OSSERVARLA, ad AGIRE CON ESSA fino a che si abbasserà ad un livello confortevole. Datevi piccoli compiti da risolvere rispetto alle situazioni che vi evocano ansia. Mettetela in relazione con episodi accaduti e con i pensieri associati a tali episodi. Cercatene il vero messaggio: non è l’espressione di una malattia ma il segnale di qualcosa che non va nella vostra vita. Continuate ad applicare queste dieci regole e vedrete che in poco tempo migliorerete allenandovi e rinforzandovi nelle vostre capacità di affrontare l’ansia.Quando vi rendete conto di non avere il completo controllo della vostra auto riducete la velocità per riacquistarne il controllo. Quando sentite le vertigini in cima a una scala alta vi attaccate ad essa più saldamente. E cosí sarà per la vostra ansia che diventerà compagna della vostra vita aiutandovi a risolvere ogni problema e a farvi sentire, quindi, più forti.

I farmaci

Se la terapia cognitivo-comportamentale aiuta le persone ad affrontare e superare l’ansia e il panico, molte volte ci sono persone che hanno sintomi cosí intensi che non riescono a fare ciò che sarebbe più adatto per stare bene.

In questo caso, considerando i sintomi una specie di febbre in cui la volontà e la bravura di ognuno non possono fare nulla, prendere farmaci può aiutare.

I farmaci devono essere presi solo per un breve periodo per far passare lo stato di malessere e permettere alle persone di affrontare con varie modalità i loro disturbi. Dopo i farmaci, una terapia cognitivo-comportamentale può far riflettere meglio e far evitare di riprendere la febbre e può far porre attenzione sugli aspetti di prevenzione allo stress che sono fondamentali per risolvere definitivamente i problemi. Attraverso l’analisi delle situazioni non risolte della propria vita e il lavoro fatto nel tentativo di un miglioramento, si acquisisce maggiore forza e si prevengono eventuali altre crisi.

I farmaci riconosciuti più efficaci per l’ansia e per il panico sono le benzodiazepine e gli antidepressivi. Le benzodiazepine o tranquillanti minori sono farmaci molto maneggevoli che non danno importanti effetti collaterali; si differenziano dai tranquillanti maggiori che sono più potenti e che sono quelli che si prescrivono a pazienti con disturbi di tipo psicotico (schizofrenia): i tranquillanti minori vengono utilizzati in genere per disturbi della sfera ansiosa.

Le benzodiazepine sono prescritte anche da molti medici di medicina generale come sonniferi con buoni risultati anche se funzionano per lo più abbassando i livelli di ansia: probabilmente l’assunzione di una benzodiazepina fa rilassare e, conseguentemente, migliora anche il sonno.

Le benzodiazepine vengono assunte per gli stessi motivi per cui è indicato bere la camomilla, anche se hanno un’efficacia molto maggiore; possono essere considerati una sorta di camomilla concentrata; funzionano velocemente anche se l’effetto non è duraturo e servono per diminuire l’ansia che, a livelli elevati, impedisce corrette riflessioni sui problemi da risolvere. Prendendo le benzodiazepine e abbassando i livelli di ansia si riesce ad essere più lucidi e a pensare più correttamente e quindi a risolvere le cose che non funzionano nella vita, come si farebbe se si stesse bene e come si è fatto in periodi migliori.

Le benzodiazepine possono dare sonnolenza solo se assunte in quantità maggiore rispetto a una dose efficace e il dosaggio, in genere, deve essere personalizzato; non danno nessun altro tipo di effetto collaterale. Non sono nocive ad organi vitali (ad es. fegato). Non danno dipendenza; gli studi clinici non hanno dimostrato nessuna significativa forma di dipendenza fisica.

Se l’assunzione deI farmaco viene sospesa in modo troppo brusco si possono manifestare sintomi che sono considerabili sintomi latenti dell’ansia che riemerge.

Durante l’interruzione della terapia si può avere una recrudescenza dei sintomi ansiosi semplicemente perché probabilmente persistono ancora pensieri associati alle situazioni che provocano ansia: è il segnale di cambiamenti non ancora avvenuti.

Tra le benzodiazepine la sostanza che ha mostrato la maggiore efficacia per l’ansia e per il panico è l’ALPRAZOLAM; infatti numerosi studi ne documentano sia l’efficacia che la rapidità di azione nel controllare gli attacchi di panico e le manifestazioni ad essi correlate ed attualmente è quella maggiormente prescritta dagli specialisti.

Nella nostra esperienza con tale farmaco non abbiamo mai notato sintomi alla sospensione che, in genere, viene effettuata massimo entro 1 anno di terapia.

Gli antidepressivi possono essere considerati come dei “ricostituenti”. Hanno, quindi, l’effetto di aumentare la sicurezza personale; fanno sentire più forti di fronte ai problemi della vita. Come tutti i ricostituenti devono essere presi a lungo perché altrimenti non hanno efficacia (almeno qualche mese).

Danno la spinta per risolvere il più possibile in modo soddisfacente i problemi. Devono essere associati alle benzodiazepine perché funzionano dopo circa 20 giorni (come qualsiasi ricostituente) e in questo periodo è utile essere più rilassati. Le benzodiazepine, che funzionano velocemente, tolgono i sintomi di ansia e fanno, quindi, pensare con maggiore fiducia rispetto l’eventuale possibilità di affrontamento dei problemi. Gli antidepressivi danno, poi, quella energia, quella spinta personale che è necessaria per risolvere i problemi. Devono essere presi per 4-8 mesi e poi tolti perché l’effetto di spinta interiore c’è già stato e non importa continuare la terapia. Sospendendoli gradualmente non si avvertono peggioramenti perché i benefici portati dai farmaci sono già avvenuti e perché probabilmente a quel punto non si hanno più i problemi (perché risolti) che provocano ansia.